INTER SERVICES INTELLIGENCE, DI CHI STIAMO PARLANDO?

Non ci fidavamo del Pakistan: difficile essere più chiari del capo della CIA per giustificare il tardivo avvertimento all’ambiguo alleato.

In effetti, non ha proprio tutti i torti: la palazzina fortificata in cui viveva lo “sceicco del terrore” dal 2005 si trova in un quartiere residenziale di una cittadina a poche ore dalla capitale. Davvero difficile pensare che l’Inter Services Intelligence (ISI) – principale servizio segreto pakistano – non sapesse nulla, visto che l’eccentrico inquilino arabo era una sua vecchia e solida conoscenza. Ma che cosa è l’ISI e come mai conosceva così bene Osama Bin Laden ?

L’ISI è stato fondato nel 1948 da un ufficiale britannico. Ha mutuato la sua struttura dal servizio segreto iraniano, il SAVAK, e, come questo, ha ricevuto aiuti addestrativi dalla CIA. Gli appartenenti al servizio sono tutti militari e il comando è alle dirette dipendenze del primo ministro. Da subito si è fatto conoscere per l’aperta partecipazione alle ostilità condotte contro l’India. Elemento del contendere era – e continua ad essere – la regione a maggioranza musulmana del Jammu-Kashmir. L’ISI si è inserito nella vicenda finanziando e armando gruppi fondamentalisti islamici per fronteggiare indirettamente il governo di Dheli, strategia a cui rimarrà affezionato per molti anni. Vorrei far notare che è regola abbastanza comune che il potere, la discrezionalità e il ruolo di un servizio segreto aumentano in maniera direttamente proporzionale alla percezione di insicurezza nazionale: più uno stato si sente minacciato, più potere e discrezionalità lascerà alla sua intelligence e, infatti, il lungo conflitto indo-pakistano ha contribuito non poco all’attuale potere dell’ISI, considerato oggi una sorta di “stato nello stato”.

Il punto di svolta che ha portato il servizio sul palcoscenico internazionale è stata l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel dicembre del 1979: l’ISI, assieme ai servizi segreti americani e sauditi, si adoperò per finanziare, addestrare e armare il nascente e diviso movimento dei Mujaheddin in funzione anticomunista. Per tutto il periodo del conflitto i capi delle fazioni combattenti utilizzarono soprattutto i soldi derivati dallo smercio di oppio per finanziare le loro campagne militari; ma i Mujaheddin non hanno inventato dal nulla la produzione di eroina su larga scala: hanno imparato dal vicino Pakistan dove, per tutti gli anni Ottanta sono state prodotte circa ottocento tonnellate all’anno di oppio, pari al 70% dell’offerta mondiale. L’immenso traffico si è sviluppato sotto l’ala protettiva dell’ISI: del resto si sa, le operazioni militari costano e in qualche modo bisogna pur fare…

Per portare un esempio concreto, nel 1983, il capo dell’ISI fu costretto a rimuovere tutti i suoi agenti di Quetta – città al confine meridionale con l’Afghanistan – per il loro troppo palese coinvolgimento nel traffico di droga. Tuttavia, nonostante sporadiche operazioni di facciata l’ISI continuava a pagare bustarelle ai capi pashtun affinché permettessero che convogli carichi di eroina transitassero dall’Afghanistan al Pakistan indisturbati, per poi partire verso l’Occidente. Tanto per rendere il tutto più piccante: la Drug Enforcement Administration (DEA), durante gli anni Ottanta, aveva in Pakistan diciassette funzionari a tempo pieno dichiaratamente a conoscenza del traffico, ma nulla fu fatto: l’imperativo era sconfiggere i Russi.

Piccolo passo indietro: nel 1982 l’ISI si fece promotore di una chiamata verso tutto il mondo islamico affinché si costituisse un grande esercito di volontari per combattere a fianco dei Mujaheddin: il Pakistan aprì le sue porte e una fiumana di radicali cominciò a riversarsi nei campi vicino Peshawar, per studiare, addestrarsi e combattere insieme. I soldi per finanziare questa santa impresa arrivarono da laute donazioni degli stati arabi e dal Occidente. Secondo il principio per cui quando si manovrano molti miliardi c’è il rischio che qualcuno resti attaccato alle dita, l’ISI usò parte dei soldi ricevuti per ampliare il proprio potere nelle zone politicamente insicure ai confini con l’India e l’Afghanistan. In questa cornice si inseriscono i primi rapporti del servizio con il giovane Osama Bin Laden, figlio di un magnate saudita dell’edilizia molto vicino alla famiglia reale, giunto in Pakistan come volontario. Il Generale Hamid Gul – all’epoca a capo dell’ISI – propose al facoltoso giovanotto di guidare il contingente saudita. Bin Laden, non solo accettò volentieri, ma portò anche tecnici, denaro, armi e materiali con la benedizione della sua famiglia. In questo periodo Bin Laden si stabilì a Peshawar nei cui dintorni aveva creato dei campi d’addestramento dove convogliava i volontari per farli addestrare da ufficiali dell’esercito pakistano e americano. Finita la campagna sovietica, in Afghanistan iniziò una guerra intestina fra gli ex comandanti Mujaheddin; l’ISI non stette di certo a guardare decidendo di appoggiare la fazione guidata da Gulbuddin Hekmatyar, anche lui una vecchia conoscenza tra i volontari jihadisti. Purtroppo non era il cavallo vincente e, quando capirono la forza del nascente movimento talebano decisero di non fargli mancare il suo appoggio.

Bin Laden, si radicalizzò sempre di più e iniziò a chiamare i suoi fedeli alla guerra santa contro l’Occidente oppressore: l’uomo che la CIA aveva contribuito a creare iniziava a rivoltarglisi contro. I rapporti con gli USA si surriscaldarono fino a diventare esplosivi dopo gli attentati in Kenya e Tanzania. Gli Stati Uniti, formalmente alleati del Pakistan, chiesero al suo governo la testa del saudita. Il Presidente pakistano si trovava in una posizione piuttosto imbarazzante: una parte qualitativamente consistente dei suoi servizi segreti proteggeva e appoggiava Bin Laden in cambio di finanziamenti e militanti islamici da mandare in Kashmir e il suo grande alleato e finanziatore occidentale lo voleva a tutti i costi. Non riuscendo a prendere posizione il Pakistan cercò a tutti i costi di evitare l’argomento nelle sedi internazionali.

Così facendo si arriva all’11 settembre 2001: la caccia a Bin Laden diventa totale, ma, probabilmente il saudita gode ancora delle giuste protezioni e piano piano esce di scena. Gli USA decidono di appoggiare sempre di più il governo pachistano nella sua nuova linea di lotta al terrorismo: si calcola che dall’11 settembre 2001 alla fine del 2009, Washington abbia fornito al regime di Islamabad più di 12 miliardi di dollari in aiuti militari, tra cui alcuni cacciabombardieri F-16 in grado di trasportare armi convenzionali e nucleari. Eppure, di Bin Laden nemmeno l’ombra: la maggior parte della gente lo considerava morto nei violenti bombardamenti di Tora Bora o nascosto come un eremita in una grotta in qualche sperduta valle dell’Hindu Kush, e invece si scopre che da sei anni lo “sceicco del terrore” vive con mogli e figli proprio in Pakistan, e nemmeno troppo nascosto.

Tutto ciò non significa che l’intero estabilshemt pakistano sapesse della residenza di Bin Laden, ma sicuramente alcuni alti ufficiali dell’ISI ne erano a conoscenza. Ma perché proteggerlo ?

Qui entriamo nel campo delle ipotesi: forse potrebbe essere sensata quella di una forma di “gratitudine politica” per lo sforzo compiuto dal saudita e dai suoi soldati in Kashmir. Non è certo pratica nuova per un servizio segreto fornire protezione ad un ex collaboratore in onore dell’aiuto ricevuto. Oppure si può pensare ad un ragionamento meramente economico secondo cui sarebbe convenuto tenere Bin Laden nascosto così da poter continuare a ricevere cospicui finanziamenti dagli USA da utilizzare alla bisogna.

Imposibile saperlo; per ora.

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